Lasciar piangere i neonati: funziona davvero, ma a quale prezzo?

- Categoria : Nanna bimbo (0 - 2 anni)

Ogni genitore conosce quel momento in cui il pianto del neonato sembra non finire mai. Hai provato di tutto: cullarlo, cantargli una ninna nanna, controllare il pannolino... ma nulla sembra calmarlo. In queste situazioni, l’ansia cresce, accompagnata da un senso di impotenza. Una domanda ti tormenta allora: "Bisogna lasciar piangere i neonati?"

Una questione che spesso divide: alcuni sostengono che lasciar piangere i neonati sia necessario affinché imparino a calmarsi da soli, mentre altri sottolineano l’importanza di rispondere prontamente ai loro bisogni.

Come trovare il giusto equilibrio tra empatia e autonomia?

In questo articolo, esploreremo insieme cosa dicono la scienza e l’esperienza degli esperti in materia.

Troverai consigli pratici e strumenti utili per comprendere meglio il pianto del tuo bambino, mantenendo al tempo stesso la tua tranquillità.

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Il pianto del neonato: un linguaggio universale!

Fin dalle prime ore di vita, il principale mezzo di comunicazione di un neonato è il pianto.

Contrariamente a quanto si possa pensare, piangere non è mai un “capriccio” nei primi mesi di vita, ma un modo fondamentale per esprimere bisogni o disagio.

Imparare a decifrare questi pianti, anche se a volte può sembrare difficile, è un passaggio chiave per ogni genitore.

Perché i neonati piangono?

Le ragioni possono essere molteplici, e ognuna corrisponde a una situazione diversa. Ecco i bisogni più comuni che il neonato esprime attraverso il pianto:

  • Fame: È una delle cause più frequenti, soprattutto nei neonati che si nutrono molto spesso. Questo tipo di pianto tende ad aumentare rapidamente se il bisogno non viene soddisfatto.
  • Stanchezza / pianto di scarico: Paradossalmente, un neonato stanco può avere difficoltà ad addormentarsi e piangere per liberare la tensione accumulata.
  • Bisogno di conforto: In cerca di sicurezza, il bambino piange spesso per essere preso in braccio o per sentire la presenza rassicurante del genitore.
  • Disagio fisico: Un pannolino sporco, un vestitino troppo stretto o una posizione scomoda possono facilmente provocare il pianto.
  • Dolori o malattie: Coliche, reflusso o altri disturbi più seri possono generare pianti accompagnati da segnali come pancia dura, febbre o vomito — in questi casi, è importante consultare un pediatra.

Il picco del pianto: un fenomeno naturale

Sapevi che il pianto raggiunge il suo apice tra la sesta e l’ottava settimana di vita? Questo fenomeno, spesso definito come “picco del pianto”, è del tutto normale e riguarda molti neonati.

In questo periodo, il neonato può piangere anche 2 o 3 ore al giorno, soprattutto nel tardo pomeriggio o in serata. Fortunatamente, si tratta di una fase passeggera: intorno ai 3 mesi, la durata e l’intensità del pianto tendono a diminuire, grazie alla maturazione del sistema nervoso.

Riconoscere i diversi tipi di pianto

Non tutti i pianti sono uguali. Anche se inizialmente può sembrare complicato, molti genitori imparano a distinguere le diverse sfumature del pianto del proprio bambino.

Grazie agli studi di Priscilla Dunstan, oggi è possibile identificare cinque tipi di pianto del neonato, ciascuno legato a un bisogno specifico. Ecco come riconoscerli e interpretarli:

  1. Fame ("Nèh")
    Questo pianto è legato al riflesso di suzione. Il bambino emette un suono simile a "nèh" muovendo leggermente la lingua contro il palato. Il suo sguardo è sveglio e attivo, a differenza del pianto da stanchezza dove le palpebre sono pesanti.

  2. Sonno ("Aeh")
    Quando il neonato ha sonno, produce un suono simile a un miagolio, "aeh", associato allo sbadiglio. La bocca è leggermente aperta a forma di "o" e lo sguardo perso nel vuoto suggerisce l’avvicinarsi del sonno.

  3. Ruttino ("Eh")
    Un ruttino intrappolato provoca un suono specifico, "eh", spesso accompagnato da movimenti per espellere l’aria. Questo pianto si verifica solitamente dopo la poppata, e aiutare il neonato a fare il ruttino lo calmerà rapidamente.

  4. Disagio ("Hèh")
    Se il bambino è a disagio — troppo caldo, troppo freddo o ha il pannolino sporco — emette un suono affannoso, "hèh", spesso accompagnato da movimenti irrequieti.

  5. Coliche ("Eerrrrhhh")
    Il pianto da coliche è intenso e doloroso. Il neonato emette un suono grave e prolungato, "eerrrrhhh". Ha i pugni chiusi, le gambe tese e il viso contratto dal dolore.

Ascoltare con attenzione i pianti e osservare i segnali del corpo (espressioni, movimenti) può aiutarti a rispondere in modo più efficace ai bisogni del tuo bambino.

Contrariamente all’idea che un neonato pianga per manipolare o attirare volontariamente l’attenzione, il pianto è un meccanismo profondamente radicato nell’evoluzione. Questi suoni, spesso acuti e insistenti, sono progettati per suscitare una reazione immediata da parte degli adulti.

Hanno uno scopo vitale: richiamare l’adulto verso il bambino, perché un neonato non ha solo voglia dei suoi genitori — ne ha bisogno per sopravvivere e crescere.

Nei primi anni di vita, un bambino è totalmente dipendente dagli adulti per soddisfare i suoi bisogni fondamentali: nutrimento, sicurezza, conforto e regolazione emotiva. Il pianto è quindi il suo strumento più efficace per esprimere un bisogno urgente.

Gli studi dimostrano inoltre che questi pianti attivano automaticamente negli adulti reazioni di protezione e cura, stimolando aree del cervello legate all’empatia e all’attenzione genitoriale.

Quindi, ben lontano dall’essere un “comportamento strano”, il pianto rappresenta una brillante strategia evolutiva che garantisce che i bisogni del bambino vengano soddisfatti rapidamente.

Rispondere a questi pianti non rende il bambino capriccioso, ma gli insegna che può contare sui suoi genitori, ponendo le basi di una fiducia fondamentale per il suo sviluppo emotivo.

Cosa si nasconde dietro il metodo del "lasciar piangere"?

Molti genitori si sentono ripetere spesso un consiglio: "Lascialo piangere, prima o poi smetterà".

Questo approccio, talvolta associato alla cosiddetta tecnica del "5-10-15" o Controlled Crying Technique (CCT), consiste nel lasciar piangere il neonato per intervalli di tempo progressivamente più lunghi prima di intervenire per calmarlo.

L’idea alla base di questo metodo è quella di insegnare al bambino a calmarsi da solo, riducendo le risposte immediate da parte dei genitori.

A prima vista, questa tecnica può sembrare efficace per ridurre i risvegli notturni o le difficoltà ad addormentarsi. Tuttavia, gli studi scientifici sollevano domande importanti: cosa succede davvero nel cervello del neonato quando piange senza ricevere risposta?

Un neonato che piange è un neonato sottoposto a stress

Quando un neonato piange, il suo corpo attiva un meccanismo di stress. Il cervello rilascia ormoni come il cortisolo, e una regione chiave chiamata amigdala (il centro delle emozioni e della paura) si attiva intensamente, come se stesse gridando: "Aiuto!"

Se nessuno arriva a consolare il bambino, questo stato di stress continua.

A questa età, un neonato non ha alcun mezzo per gestire da solo queste emozioni.

I ricercatori esprimono preoccupazione per gli effetti a lungo termine di questi picchi ormonali su un cervello ancora in formazione: anche se è difficile misurarli con precisione, gli esperti concordano sul fatto che uno stress cronico nella prima infanzia può influenzare negativamente lo sviluppo di alcune aree cerebrali.

Il legame di attaccamento è a rischio

Un neonato piange per richiamare i suoi genitori: non è solo un desiderio di vicinanza, è un bisogno fondamentale.

Se nessuno risponde a questi richiami, il bambino impara una lezione cruciale: piangere non porta aiuto. Questo mina la sua fiducia negli adulti e indebolisce il legame di attaccamento, quel legame affettivo essenziale che si costruisce nei primi mesi di vita.

Un attaccamento sicuro, in cui i genitori rispondono in modo costante ai bisogni del loro bambino, è la base di una relazione sana e della futura autonomia. Al contrario, lasciar piangere i neonati può generare un attaccamento insicuro, rendendo il bambino più ansioso e diffidente verso chi lo circonda.

Un bambino più passivo e meno curioso

Un'altra possibile conseguenza del lasciar piangere è la riduzione della naturale curiosità del bambino. Secondo la teoria dell’impotenza appresa sviluppata da Martin Seligman, un bambino che capisce che le sue azioni (come piangere) non provocano cambiamenti nell’ambiente tende a diventare più passivo.

Questa passività potrebbe limitare la sua voglia di esplorare, di interagire con il mondo circostante e, di conseguenza, rallentare il suo sviluppo cognitivo.

Un bambino che si sente ascoltato e rassicurato è più fiducioso nell’esplorare il mondo, mentre un bambino lasciato in uno stato di stress può chiudersi in sé stesso.

Lasciar piangere i neonati: un metodo che divide

I metodi del "lasciar piangere", come quelli descritti nello studio "Behavioral treatment of bedtime problems and night wakings in infants and young children" (Mindell et al., 2006), hanno dimostrato una certa efficacia.

La ricerca evidenzia che ignorare il pianto di un bambino prima della nanna può ridurre significativamente il numero di risvegli notturni. Questi risultati spiegano perché molti genitori esausti si lasciano tentare da queste tecniche, alla ricerca di notti più tranquille.

Tuttavia, questo approccio non affronta le vere cause del pianto. I risvegli notturni di un neonato non sono "cattive abitudini" da correggere, ma spesso esprimono bisogni reali: fame, disagio fisico, bisogno di conforto o ansia da separazione.

Quando non si risponde a questi pianti, il problema non scompare, ma si silenzia, poiché lo stress del bambino non svanisce.

Ricerche più recenti mettono in luce anche i limiti di queste strategie. I neonati lasciati piangere possono smettere di chiamare, ma i loro livelli di stress — misurati attraverso il cortisolo — restano elevati. Questo stress non espresso potrebbe influire negativamente sul loro sviluppo emotivo e sul rapporto con i genitori.

Quindi, anche se questi metodi sembrano efficaci nel breve termine per ridurre i risvegli, non rispondono alla vera necessità: comprendere e accogliere i bisogni del bambino per costruire un legame di fiducia e sicurezza.

Prima di adottare questo approccio, è fondamentale valutare attentamente i benefici a breve termine rispetto ai possibili rischi nel lungo periodo.

Cosa fare se il neonato piange molto?

Per calmare un neonato che piange, il primo passo è capire la causa del pianto. Il pianto non è mai casuale: è un modo fondamentale con cui il bambino comunica i suoi bisogni. Ecco alcune possibili ragioni:

  1. Ha fame? La fame è una delle cause più comuni di pianto. Se il neonato cerca il seno o il biberon, o se si avvicina l’ora della poppata, prova ad alimentarlo.
  2. È a disagio? Controlla se il pannolino è bagnato, se i vestitini sono troppo stretti o se qualcosa lo infastidisce fisicamente.
  3. Ha troppo caldo o troppo freddo? I neonati sono molto sensibili ai cambiamenti di temperatura. Verifica che sia vestito in modo adeguato all’ambiente.
  4. È sovrastimolato? Luci forti, rumori intensi o troppe attività possono causare una sovraccarico sensoriale. In questo caso, portalo in un ambiente tranquillo, con luci soffuse e pochi stimoli.
  5. Ha bisogno di conforto? A volte basta un abbraccio o qualche parola dolce. Anche il contatto pelle a pelle può aiutare il neonato a rilassarsi.

Il pianto di scarico: un bisogno specifico

A volte, nonostante tutti i tuoi tentativi, il neonato continua a piangere. Può trattarsi di pianti di scarico, in cui il bambino libera le tensioni accumulate durante la giornata. Questi pianti non segnalano un bisogno immediato come fame o disagio, ma servono a scaricare la pressione emotiva, soprattutto se il livello di cortisolo (l’ormone dello stress) è elevato.

In questi momenti, il tuo ruolo non è quello di fermare il pianto a tutti i costi, ma di accompagnare il bambino con dolcezza. Tienilo in braccio, parlargli con voce calma, cullalo: la tua presenza è rassicurante e gli offre un contesto sicuro per affrontare il momento. Questi pianti, anche se faticosi da vivere, sono naturali e persino benefici per il suo equilibrio emotivo.

Comprendendo i diversi tipi di pianto, potrai rispondere meglio ai bisogni del tuo bambino, creando un ambiente in cui si senta ascoltato, sereno e amato.

Per approfondire questo tipo di pianto, puoi leggere il nostro articolo qui: Pianto di scarico nei neonati: comprendere e accompagnare

Meglio lasciar piangere il neonato che scuoterlo

Essere genitori è un’esperienza meravigliosa, ma può anche essere estremamente stancante, soprattutto quando il pianto sembra non finire mai. In certi momenti, i nervi sono messi a dura prova, ed è normale sentirsi sopraffatti. Tuttavia, in mezzo alla frustrazione, è fondamentale ricordare una cosa: meglio lasciar piangere il neonato che rischiare di scuoterlo.

Scuotere un neonato, anche solo per pochi secondi, può causare la shaken baby syndrome (sindrome del bambino scosso). Questo gesto, spesso impulsivo, può provocare danni gravi e irreversibili al cervello: lesioni cerebrali, disabilità permanenti, o nei casi peggiori, la morte. La testa e il cervello di un neonato sono estremamente fragili e vulnerabili ai movimenti bruschi.

Cosa fare quando la frustrazione prende il sopravvento?

  • Metti il neonato in sicurezza. Adagialo nel suo lettino o in un posto sicuro, poi allontanati per qualche minuto. È perfettamente accettabile lasciarlo piangere un po’ mentre ti prendi una pausa.
  • Chiedi aiuto. Se c’è un altro adulto in casa, non esitare a passare il testimone. Anche solo qualche minuto di pausa può fare la differenza.
  • Respira. Chiudi gli occhi, fai alcuni respiri profondi e ricordati che questo momento passerà.

Il pianto può essere molto difficile da sopportare, ma non durerà per sempre. Il tuo benessere è importante quanto quello del tuo bambino, e prenderti cura di te ti aiuterà a tornare da lui più calmo e sereno.

Ricorda: chiedere aiuto o prendersi una pausa è un segno di forza, non di debolezza. Stai facendo del tuo meglio, e questo è già tantissimo. 💛

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